Nel 2018 sono partiti dalle regioni del Sud 25mila camion carichi di rifiuti verso quelle del Centro-Nord, a causa dell’insufficienza numerica e della cattiva dislocazione degli impianti di trattamento. Ciò comporta gravi costi economici e ambientali, nonché un eccessivo ricorso alla discarica: nel Mezzogiorno il 41% dei rifiuti viene ancora smaltito in questo modo (mentre l’UE impone di scendere al di sotto del 10% entro il 2035), e al contempo la vita residua delle discariche in esercizio si stima che arrivi solo fino al 2022.

Gli impianti di trattamento sono infrastrutture essenziali e non più differibili, la cui realizzazione porterebbe notevoli vantaggi economici, ambientali e sociali: investimenti in grado di produrre ricchezza in quegli stessi territori che attualmente spendono risorse in maniera improduttiva.

Sono alcuni degli elementi che emergono dalla ricerca I fabbisogni di trattamento dei rifiuti urbani nel Sud, realizzata da Utilitalia, la federazione nazionale delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, della quale Confservizi Veneto è espressione regionale, e presentata in occasione del Green Symposium di Napoli; nello studio viene scattata una fotografia della situazione attuale e allo stesso tempo disegnato lo scenario al 2035.

La fotografia della situazione attuale

Nel 2018 nelle 8 regioni del Sud erano operativi 69 impianti di trattamento del rifiuto organico, 51 impianti di trattamento meccanico biologico (TMB), 6 inceneritori, 2 co-inceneritori e 46 discariche. Il Mezzogiorno ha esportato verso le regioni del Centro-Nord 420mila tonnellate di organico (il 30% della produzione), mentre altre 80mila sono state movimentate all’interno del Sud stesso; per quanto riguarda il rifiuto indifferenziato e trattato nei TMB ai fini del recupero energetico, sono state esportate 190mila tonnellate (il 18% di quanto è stato trattato nei termovalorizzatori del Mezzogiorno), mentre altre 70mila tonnellate si sono mosse all’interno della macroregione.

I viaggi dei rifiuti: costi economici e ambientali

Tutto ciò si traduce nei cosiddetti “viaggi dei rifiuti”: nel 2018 sono stati 25mila i tir a partire verso gli impianti del Nord, e altri 10mila si sono mossi tra regioni del Sud. Ciò si è tradotto in 22 milioni di chilometri percorsi, con importanti costi: dal punto di vista ambientale, con l’emissione di 14mila tonnellate di CO2 equivalente, ed economico, con 75 milioni di euro aggiuntivi sulla Tari pagata dai cittadini.

“La carenza e la non equilibrata dislocazione degli impianti –ha spiegato Filippo Brandolini vicepresidente di Utilitalia– è la prima causa dei viaggi dei rifiuti lungo la Penisola. Il paradosso è che i cittadini dei territori nei quali non ci sono sufficienti impianti sono costretti a pagare le tariffe dei rifiuti più alte ed hanno una qualità ambientale più bassa. E’ un classico caso di servizio inefficiente a fronte di tariffe più alte per la cittadinanza, e al contempo un esempio di quali siano i costi del non fare: al contrario gli impianti sono investimenti in grado di produrre ricchezza negli stessi territori che attualmente spendono risorse in maniera improduttiva”.

Ancora troppo elevato il ricorso alle discariche

Le discariche sono il sistema di trattamento dei rifiuti con il maggiore impatto ambientale, soprattutto per le emissioni di CO2. Al momento il Sud avvia a discarica il 41% dei rifiuti urbani trattati (contro una media nazionale del 20,2%), mentre l’Unione Europea ci impone di scendere al di sotto del 10% entro il 2035. Oltretutto la vita residua delle discariche del Mezzogiorno si stima sia di soli due anni: entro il 2022 saranno esaurite.

“Di conseguenza –ha continua Brandolini– a questo ritmo di conferimento saremo obbligati a scegliere se costruire nuovi impianti o aprire nuove discariche: anche perché entro pochi anni, in mancanza di interventi, la chiusura delle discariche del Sud farà ulteriormente aumentare il numero dei viaggi dei rifiuti. Non c’è più tempo da perdere”.

Entro il 2035 servono investimenti pari a 2,2 miliardi

Secondo l’analisi di Utilitalia –che tiene conto dei target fissati dal Pacchetto Ue sull’economia circolare al 2035, e in particolare del raggiungimento del 65% di riciclaggio e dell’uso della discarica per una quota al massimo del 10%– considerando la capacità attualmente installata, se si vuole annullare entro quella data l’export dei rifiuti, servono investimenti pari a 2,2 miliardi di euro, oltre a quelli per lo sviluppo delle raccolte differenziate e dell’applicazione della tariffa puntuale: ciò per soddisfare il fabbisogno di trattamento della frazione organica per ulteriori 2 milioni di tonnellate, e di incenerimento con recupero di energia per ulteriori 1,3 milioni di tonnellate.

Per Brandolini “si continua a rimandare un problema non più procrastinabile: l’economia circolare e gli impianti non sono due elementi in contrasto, ma rappresentano due facce della stessa medaglia. Non a caso, i territori che registrano le percentuali più alte di raccolta differenziata sono proprio quelli in cui è presente il maggior numero di impianti. Abbiamo oggi la grande opportunità di pensare a un approccio nuovo rispetto alle scelte in tema di rifiuti: investire in questa direzione ci consentirà di avere una raccolta più efficiente, città più pulite e tariffe più basse; se invece restiamo fermi, rischiamo di essere travolti dall’emergenza”.

I vantaggi ambientali, economici e sociali

Nello specifico, nel Mezzogiorno la realizzazione degli impianti di trattamento del rifiuto organico, oltre a chiudere il cerchio dei rifiuti a livello macro-regionale, permetterebbe di produrre 140 milioni di metri cubi l’anno di biometano: un quantitativo in grado di soddisfare la necessità di riscaldamento di 140mila famiglie, con un risparmio di 260mila tonnellate di CO2 l’anno.

La realizzazione degli impianti di termovalorizzazione consentirebbe la produzione di 1,2 milioni di megawattora di elettricità (la metà dei quali rinnovabili), che potrebbero soddisfare il fabbisogno energetico di 220mila famiglie, con un risparmio di 250 mila tonnellate di CO2 annue. Questi potenziali risparmi di CO2 contribuiscono al rispetto degli impegni assunti dall’Italia per la riduzione delle emissioni di gas climalteranti nell’accordo di Parigi.

 “Senza impianti di digestione anaerobica e senza termovalorizzatori –ha concluso Brandolini– non si chiude il ciclo dei rifiuti e non si fa economia circolare, mettendo in difficoltà lo stesso riciclo. Un ciclo dei rifiuti efficiente toglie spazi di manovra alla criminalità organizzata, accresce la qualità della vita urbana e garantisce anche un circolo virtuoso per l’occupazione”.